Nel cuore del documentario di DW intitolato "Forced labor in China - Investigating factory-like prisons", emerge un quadro sconvolgente della realtà carceraria cinese, dove migliaia di prigionieri sono costretti a lavorare in condizioni disumane. La storia parte da una scoperta casuale avvenuta nel 2015 a Parigi: due donne, nel comprare un test di gravidanza economico, trovano una lettera SOS scritta da un prigioniero nella città cinese di Tianjin. Questa lettera, una disperata richiesta di aiuto, svela le dure condizioni di vita e lavoro all'interno delle prigioni cinesi.
Il documentario segue il viaggio di un giornalista e filmmaker francese, che, armato di questa lettera, decide di portare alla luce queste atroci violazioni dei diritti umani. La ricerca lo porta a incontrare ex detenuti come Marius Balo, Peter Humphrey e Dima, ciascuno con storie personali di abusi, torture e lavori forzati nelle prigioni cinesi. Marius, incarcerato per presunti reati commerciali, descrive otto anni di sofferenze in prigione, sottolineando come il sistema penitenziario cinese tratti i prigionieri come meri strumenti di lavoro.
Peter Humphrey, un investigatore di frodi commerciali, racconta la sua traumatica esperienza di arresto e detenzione, sottolineando le condizioni orribili e l'uso della violenza per controllare i detenuti. Dima, incarcerato per frodi con carta di credito, rivela le torture inflitte a chi si rifiuta di lavorare, descrivendo dettagliatamente la crudeltà delle punizioni fisiche.
Attraverso queste testimonianze e un'indagine approfondita, il documentario espone non solo le condizioni disumane all'interno delle prigioni, ma anche il coinvolgimento delle multinazionali occidentali, che indirettamente beneficiano del lavoro forzato. L'investigazione rivela come prodotti comuni, come i test di gravidanza, vengano confezionati in prigione e venduti in tutto il mondo, evidenziando la complicità delle aziende che sfruttano queste pratiche per ridurre i costi di produzione.
Marius Balo, un insegnante di inglese rumeno, ha vissuto otto anni di inferno nelle prigioni cinesi. Arrestato nel 2014 per presunti reati di frode commerciale, un'accusa che ha sempre negato, Marius è stato condannato a otto anni di carcere. La sua storia non è solo una testimonianza di ingiustizia, ma anche una denuncia delle condizioni disumane e del lavoro forzato a cui sono sottoposti i detenuti nelle prigioni cinesi.
Marius Balo arrivò in Cina con la speranza di costruire una carriera nel campo dell'istruzione, ma il suo sogno si trasformò rapidamente in un incubo. Accusato ingiustamente di frode commerciale, venne arrestato e condannato senza un processo equo. Durante i suoi otto anni di detenzione, Marius ha vissuto in condizioni estremamente dure, subendo maltrattamenti e violenze fisiche e psicologiche.
Marius descrive le condizioni all'interno della prigione come inumane. I prigionieri sono costretti a lavorare per 12-15 ore al giorno, con solo cinque o sei ore di sonno. La mancanza di cibo adeguato e le pessime condizioni igieniche rendono la vita quotidiana un costante tormento. I prigionieri, trattati come meri strumenti di lavoro, sono sottoposti a continui maltrattamenti da parte delle guardie carcerarie, che usano la violenza per mantenere il controllo.
La produzione all'interno della prigione è organizzata in modo da massimizzare il profitto. I detenuti sono impiegati in vari lavori, spesso legati alla produzione di beni destinati all'esportazione. Marius racconta di aver lavorato alla produzione di etichette per abbigliamento per aziende occidentali come C&A. Le aziende che sfruttano il lavoro forzato spesso si nascondono dietro una rete di intermediari, rendendo difficile tracciare l'origine dei prodotti.
Dopo otto anni di sofferenze, Marius è stato finalmente liberato e ha potuto fare ritorno in Romania. Tuttavia, il tempo trascorso in prigione lo ha segnato profondamente. Per elaborare l'esperienza e sensibilizzare l'opinione pubblica sulle atrocità commesse nelle prigioni cinesi, Marius ha deciso di intraprendere un pellegrinaggio. Ha camminato un chilometro per ogni giorno trascorso in prigione, un totale di 2.922 chilometri, per far conoscere al mondo la realtà del sistema carcerario cinese.
Marius Balo non è solo una vittima, ma anche un testimone e un attivista contro le ingiustizie. La sua storia ha contribuito a mettere in luce le violazioni dei diritti umani nelle prigioni cinesi e il ruolo delle aziende occidentali che ne traggono profitto. Attraverso il suo pellegrinaggio e le sue testimonianze, Marius spera di sensibilizzare l'opinione pubblica e di promuovere cambiamenti concreti per migliorare le condizioni dei detenuti e porre fine al lavoro forzato.
La storia di Marius Balo è un potente richiamo alla necessità di un'azione globale contro il lavoro forzato. Le testimonianze come la sua sono essenziali per far luce sulle violazioni dei diritti umani e per spingere i governi e le istituzioni internazionali ad adottare misure più efficaci per prevenire e punire queste pratiche. La speranza è che, attraverso la sensibilizzazione e l'azione collettiva, si possa mettere fine a questa moderna forma di schiavitù e garantire che nessun altro debba subire ciò che Marius ha vissuto.
Marius Balo ha dimostrato una straordinaria resilienza e coraggio nel condividere la sua esperienza, e la sua storia continua a ispirare molti nella lotta contro le ingiustizie e le violazioni dei diritti umani.
Peter Humphrey, un investigatore di frodi commerciali di origini britanniche, lavorava in Cina per conto di aziende occidentali, eseguendo controlli di due diligence per verificare l'affidabilità dei loro partner commerciali. Durante una delle sue indagini, Peter divenne troppo curioso riguardo a un membro del Partito Comunista Cinese. La reazione fu rapida e brutale: Peter e sua moglie vennero arrestati, e il loro processo e confessione forzata furono trasmessi in televisione.
La detenzione di Peter in un centro di detenzione cinese fu un'esperienza traumatica. Descrive il suo arrivo in cella come un momento di assoluto orrore: "Sono stato portato in un centro di detenzione e gettato in una cella nel cuore della notte, alle 3 del mattino. Con dodici prigionieri che dormivano sul pavimento della cella e una luce brillante accesa. È stato uno shock tremendo, un trauma. E ancora oggi spesso ho dei flashback di quel particolare momento, quando sono arrivato in cella." Le condizioni erano inumane e degradanti, e Peter dovette affrontare continue violenze e abusi.
Dima, un cittadino europeo, fu arrestato a Shanghai nel 2019 per frodi con carta di credito e condannato a due anni di prigione. A differenza di molti altri prigionieri, Dima si rifiutò di partecipare al lavoro forzato, una decisione che pagò a caro prezzo. Descrive le torture subite per il suo rifiuto: "Hanno un tipo speciale di tortura, sai. Quando ti legano, hanno un tavolo speciale, con cinghie speciali. Non come vedi nei film, per le persone folli. È più forte. Ti sdrai su questo tavolo speciale, e ti legano completamente, qui, qui, qui, le tue mani, le tue gambe, tutto. E rimani legato così, senza alcun movimento. E sono rimasto così per tre giorni."
Dima racconta come si rifiutò di mangiare, poiché non poteva usare il bagno in quelle condizioni, subendo ulteriori abusi per la sua resistenza. La sua esperienza mette in luce la crudeltà del sistema carcerario cinese e la brutalità delle punizioni inflitte a chi osa opporsi.
Peter Humphrey fu liberato nel 2015, mentre Dima completò la sua condanna nel 2021. Tuttavia, entrambi portano con sé cicatrici profonde dalle loro esperienze. Peter, dopo aver lavorato per vent'anni in Cina, si trasferì in Irlanda per sentirsi più sicuro. Nonostante la libertà, continua a lavorare per esporre le atrocità del sistema carcerario cinese e aiutare chi è ancora intrappolato in quelle condizioni disumane.
Dima, dopo essere stato rilasciato, ha costruito una nuova vita a Bangkok, ma la sua determinazione a denunciare le ingiustizie non è diminuita. Entrambi gli uomini collaborano con giornalisti e attivisti per far conoscere al mondo le condizioni disumane all'interno delle prigioni cinesi e il coinvolgimento delle multinazionali occidentali nel perpetuare queste pratiche attraverso il lavoro forzato.
Le storie di Peter Humphrey e Dima evidenziano la necessità di una risposta globale alle violazioni dei diritti umani in Cina. Le loro testimonianze sono un grido d'allarme per i governi, le istituzioni e le aziende internazionali affinché adottino misure concrete per porre fine al lavoro forzato e garantire il rispetto dei diritti umani. Attraverso la sensibilizzazione e la pressione pubblica, è possibile promuovere cambiamenti significativi e mettere fine a queste pratiche disumane.
Il coraggio di Peter e Dima nel condividere le loro esperienze è un potente strumento di denuncia e speranza. La loro lotta continua a ispirare molti nella battaglia contro le ingiustizie e le violazioni dei diritti umani, nella speranza che un giorno nessun altro debba subire ciò che loro hanno vissuto.