Essere una streamer di successo significa spesso affrontare sfide ben oltre la creazione di contenuti. Chiara Papalia, nota come Kodomo, condivide la sua esperienza di donna su Twitch, dove un semplice cambio di look o un cosplay a tema può scatenare giudizi superficiali e commenti inappropriati. La sua testimonianza non è solo una finestra sul mondo delle piattaforme di streaming, ma anche un esempio concreto di quanto l’identità influisca sulle percezioni e sulle reazioni online.
Questa dinamica trova riscontro anche nella ricerca sull’odio online: uno studio recente evidenzia come l’"allineamento tematico-identitario" (Topic-Identity Match, TIM) giochi un ruolo cruciale nel modo in cui percepiamo e rispondiamo ai discorsi di odio. Le donne, ad esempio, tendono a trovare i contenuti misogini più offensivi e sfidanti da affrontare rispetto ad altre forme di hate speech. Tuttavia, come dimostrano le scelte di Kodomo, adottare un approccio consapevole può trasformare un ambiente ostile in una comunità più rispettosa.
Kodomo tocca un tema delicato ma centrale: la libertà delle donne di vestirsi come preferiscono durante le live senza subire giudizi o molestie. Racconta di come, agli inizi della sua carriera, non pensasse troppo a cosa indossare, scegliendo liberamente in base al proprio umore. Tuttavia, con il tempo ha capito che per una streamer donna su Twitch non è così semplice: ciò che indossi spesso definisce il modo in cui vieni percepita e, di conseguenza, giudicata. Un uomo che fa streaming, spiega Kodomo, può presentarsi in qualsiasi modo senza che questo metta in dubbio il valore dei suoi contenuti, mentre una donna viene continuamente ridotta alla sua apparenza, specialmente se il suo abbigliamento viene considerato “troppo scoperto”.
Kodomo critica apertamente questa disparità, sottolineando il doppio standard che esiste tra streamer uomini e donne. Se un uomo può permettersi di essere apprezzato solo per il suo intrattenimento o le sue abilità, per una donna sembra che il contenuto passi in secondo piano rispetto al suo aspetto. È una dinamica tossica che si riflette anche nei commenti ricevuti: battute sessiste, allusioni volgari o, peggio, il completo disinteresse per il suo lavoro, come se ciò che dice o fa non avesse valore.
Questa critica va oltre il suo caso personale: è un invito a ripensare come ci rapportiamo alle donne online. Il rispetto, come afferma Kodomo, non è opzionale. Le donne devono poter essere libere di presentarsi come vogliono, senza temere di essere ridotte a meri oggetti di desiderio o di dover sacrificare la propria autenticità per essere prese sul serio. Il messaggio che Kodomo lascia è chiaro: il web, così come la società, ha bisogno di evolvere verso spazi più sani e inclusivi, dove il valore di una persona venga riconosciuto per ciò che è e non per come appare.
L’esperienza di Kodomo su Twitch non è solo un racconto personale, ma rispecchia fenomeni studiati nel campo dell’odio online. Nel suo video, Chiara parla di come l’apparenza influenzi il tipo di pubblico che attira e di come abbia dovuto cambiare approccio per costruire una comunità basata sul rispetto e sui contenuti, anziché su giudizi superficiali legati al suo aspetto. Questa sua scelta, seppur personale, si collega direttamente a uno dei risultati centrali della ricerca: l’idea che l’identità giochi un ruolo fondamentale nel modo in cui le persone percepiscono e rispondono ai discorsi d’odio.
Lo studio evidenzia che quando l'odio è diretto verso un aspetto che riguarda da vicino l'identità di una persona – come il genere, l'orientamento sessuale o l'etnia – la percezione della gravità aumenta. Questo spiega perché Kodomo ha trovato così difficile confrontarsi con alcuni tipi di pubblico su Twitch. Commenti inappropriati e giudizi rapidi sulla sua apparenza non solo sono fastidiosi, ma si inseriscono in un contesto più ampio in cui le donne online affrontano una costante svalutazione, a prescindere dai loro talenti o dai contenuti che offrono.
La ricerca sottolinea anche che la difficoltà di rispondere all’odio cresce quando questo tocca direttamente aspetti personali. È il caso di Chiara quando racconta degli utenti che entrano nelle sue live solo per fare battute sessiste o allusive. Simili episodi rendono più arduo mantenere un atteggiamento positivo o formulare risposte che non alimentino ulteriormente il conflitto. Tuttavia, lo studio dimostra anche che l’uso di empatia e dialogo – approcci che Kodomo adotta con la sua community – è tra le strategie più efficaci per contrastare i discorsi di odio, perché sposta il focus dai pregiudizi al contenuto umano della conversazione.
L’esperienza di Kodomo è un esempio concreto di come la presenza digitale possa essere influenzata dall’odio, ma anche di come scelte consapevoli e il sostegno di una comunità rispettosa possano fare la differenza. La sua decisione di proporre se stessa con autenticità, senza cedere alle aspettative di un pubblico superficiale, riflette proprio la necessità, sottolineata dalla ricerca, di creare spazi in cui le persone si sentano protette e valorizzate per quello che offrono, non per come appaiono.